lunedì 28 febbraio 2011

UNA COME NOI - YARA E IL MOSTRO

Una stretta al cuore. Dolorosa. No, no, no, no! Hanno trovato il corpo di Yara Gambirasio. Ma come? Non è possibile. Eppure è lì. Morta. Ognuno di noi in questi mesi la stava cercando. Lavorava di immaginazione e la poteva credere in qualsiasi posto. E la voleva viva. Non distesa lì. Con la sua tutina tanto descritta e il suo apparecchio ai denti. Poteva e doveva essere ovunque, ma non dietro l'angolo in stato di decomposizione avanzata. In una distesa di sterpaglie vicino a casa. Perché tutto questo dolore unanime? Perché forse tanti hanno riconosciuto in lei qualcosa di familiare. A 13 anni è facile che si porti l'apparecchio e che poco importi. Che ci si tenga i capelli legati stretti stretti così che non diano fastidio. Che ci si accorga che il proprio corpo inizia a cambiare, ma che quell'accenno di seno che ti gonfia un po' la maglietta, non fa ancora pensare alla seduzione. E che si abbia un accenno di brufolini, perché gli ormoni stanno cambiando. Che si vada a fare ginnastica e si esca di casa con la tuta. E, mannaggia, che si torni anche a casa da soli. In quante si sono riconosciute e in quanti hanno rivisto un'amica o la sorella. O la vicina di casa o di banco. O la figlia.
Si può pensare che sia questa la causa del perché questo corpo gonfio e decomposto abbia fatto così male a tutti. Perché è una conferma dell'esistenza di quella cattiveria inutile. Fine a se stessa. Quella che si scaglia su un innocente. Su una bimba non provocante, tranquilla senza tacchi a spillo, profumi e maquillage. Senza capelli lunghi e sciolti e la gonnellina seducente, che forse possono rendere sensuali tante bimbe se pur innocenti. Questa era una ragazzetta dolce che se ne andava a casa in tuta, con l'apparecchio ai denti. Che non si vuol dire bruttina, perché non lo era, ma che era in quell'età di passaggio. Dove gli ormoni ti trasformano un po'. Il naso si ingrossa e la pelle si sporca di brufoletti. E poi insomma mammasantissima, foss'anche stata riconosciuta come "femmina", come  avrebbe potuto esserlo di sera, al buio? Che neanche la si poteva notare? Ingoffata in un giaccone, perché faceva freddo..


Lo scheletro di Yara Gambirasio, con ancora attaccato il nastro per tenere i capelli stretti stretti e con quel ciuffetto di erba chiuso ancora nella manina,  purtroppo ci sbatte in faccia la vera cattiveria. Il vero male. Il male che si alimenta da solo. E quello fa paura. Lascia sgomenti. Non permette alla voce di uscire. E ti fa chinar la testa, con un buco nello stomaco. Sì, ti lascia lì immobile a farti domande su domande...


sabato 26 febbraio 2011

L'ANELLO E LA BESTIA



Una mano, un anello. E una parola difficile: la sinestesi, ossia come un'immagine riesca a causare sensazioni e percezioni.


L'altro giorno sarà successo a tanti.
Aprire il giornale e.... richiuderlo subito.


Per poi armarsi di coraggio e riaprirlo. Per affrontare ancora ulteriori schifezze. Come se non ce ne fossero già abbastanza.


Faceva effetto quella mano con quell'anello in prima pagina. Con un leone d'oro con la bocca spalancata.


Là, buttata in pole position su tutti i quotidiani. Sola senza il resto del corpo a cui apparteneva.






Come a dire: sono io la forza, il simbolo. La paura! E intorno a lei notizie terribili. Descrizioni di sangue, di urli, di cattiverie. Di "ruggiti" minacciosi. Si materializzava poi successivamente in un corpo e una voce. Ma sì, era quel Gheddafi col turbante.
Riconoscibile subito. Quello "cattivo". Quel viso severo, irremovibile. Con l'espressione di chi è abituato a voler far paura.

Che brutta giornata.
Che notizie tristi e che sconforto.

In tanti saranno tornati a fissare la mano con l'oro.
Anche perché smuoveva qualcosa dentro.

Accanto alle tragiche immagini e orribili notizie esprimeva malvagità. Una malvagità forte, potente.
Quel leone sembrava trasformare la mano di chi lo portava. Quel ruggito silente, quel risplendere che soltanto l'oro ti può dare, sembrava avere il potere di rendere immortale.

E in quel caso c'erano un anello, un pugno, un uomo. Un dittatore.
La paura.

Cosa direbbe Bilbo Baggins? E Gollum?
"La Trilogia dell'anello" di Tolkien.

Loro sì che la sanno lunga.

Una mano e un anello.
Una semplice immagine che assume significati forti.
Quali sono gli esempi da citare?

Son lontani dalla provocazione di oggi, ma altrettanto reali.

A dito degli sposi... Una promessa.
Nella mano sinistra dedizione all'interiorità.
Nella destra all'azione.
Su ogni dito le attitudini.

Ahhh, quel leone più lo si guardava e più riassumeva in sé le mille notizie.

La rivoluzione. Il tiranno. Il male. Quella cosa che si vorrebbe contrapporre al bene.

Chiudi, apri, leggi e rileggi.

E sempre in primo piano quell'immagine.

Che però sembrava non far tornare i conti. A un certo punto faceva pensare che qualcosa non quadrava.
A furia di trovarsela sbattuta in faccia faceva smuovere qualcosa dentro.

Poi qualcuno ha compreso...
All'improvviso si son visti comparire un'altra immagine. Un'altra mano con un altro diversissimo anello.

Era aperta. Era buona. Rassicurava.

Intorno a lei c'era un omino bianco che benediceva e predicava la pace.
Sempre con una mano e un anello.

Ecco allora due mani, due anelli. E due persone talmente agli antipodi che già nominarle insieme potrebbe essere un sacrilegio!

Ma in ogni caso erano il Bene e il Male.

Ormai c'erano e anche se soltanto poste lì per aria, da sole facevano e fanno battere forte il cuore.

Anna Scolari



mercoledì 23 febbraio 2011

ROSE, ILGRANDE MAESTRO

“Ci vediamo fra 3 giorni. Giovedì alle 3 pm davanti a Gerry’s. A Hollistar, California”.
E Mino Spadacini quel giorno a quell’ora precisa era lì.

Aereo prenotato al volo: Milano - San Francisco.
Noleggio della macchina.
Il passaporto, alcuni biglietti da 50mila lire, lo spazzolino da denti e una piccola borsetta da viaggio.
Mezza vuota, ma piena di felicità, aspettative, curiosità.
Bacio alla mamma (“Ma dove vai??? - Ma in California, mamma… Dove se no?”).
Un abbraccio al papà (“Aspett…….” Troppo tardi. Era già uscito.)
E pronti via.

Siamo nel 1964 e lui aveva appena 20 anni.

L’incontro era fra lui e George Rose, uno dei più esperti "uomini di cavalli" (vaqueros) di Monta alla Californiana.
Mino aveva scoperto per caso lo stile californiano su una rivista. Aveva comprato un libro e l’autore gli aveva parlato di lui
E subito lo aveva chiamato.
Ci si può immaginare la scena.
Da una parte questo uomo importante, navigato; il vero cow boy abbronzato e impolverato e dall’altra l’impavido giovanissimo milanese dagli occhi spalancati, pieni di entusiasmo, ingenuità e aspettative.
Che lo guardava come se fosse il Padreterno.
Sicuramente Rose avrà sorriso teneramente nel vederlo e avrà anche subito colto la sua genuinità. E quella sua ansia di imparare, di voler diventare come lui.
E gli piacque subito.
“E perché no”, si disse.
E con sua moglie Janis lo “adottò”.
Fu esattamente così e per ben 5 anni.

“Ehi abbiamo la stessa cintura”.
Glielo disse saltellando, con un mezzo sorrisetto di complicità e con il suo inglese scolastico.
Rose lo fissò in silenzio, si voltò, lo fece salire sul suo pick up macigno e mise in moto.
“Andiamo giovanotto. E buttalo via quel tuo ferrovecchio. Qui le cinture sono in argento oro e zaffiri. Non di ferro come la tua”.
Ops….
E da allora Mino Spadacini imparò la legge dei rancheros.
Si adattò velocemente. Imparò a obbedire e a vivere come loro.
A cavallo dalla mattina alle 4 fino a sera.
Bestiame, lazi.
Cancelli da aprire e da chiudere.
Cena alle 6.
Stanco morto.
Una cena a base di Burbon e top sirloin steack (“la cuteletta”).
In quegli anni visse in tutto e per tutto come loro.
Entrò totalmente a far parte del mondo Californiano.
Lo studiò, lo praticò, ma soprattutto ci entrò con il cuore.
Fino ad oggi.


40 anni abbondanti sono passati.
Siamo in Italia, dove lui vive.
E siamo lontanissimi da quel mondo oltreoceano.
Ma una parte di Mino è rimasta là
E ci rimarrà per sempre.
E quel piccolo grande pezzo di terra italiana che oggi gli appartiene, ripropone esattamente il suo vissuto americano.
Lì lui non smette mai di studiare nei minimi particolari la vecchia tecnica e allena i suoi cavalli tutti i giorni.
Con Rose nel cuore.
Quel Rose che non c’è più e che lui però vede ancora cavalcare da solo nelle praterie, tutt’uno col suo cavallo e il suo cane Lobo. L’immagine ormai è sfuocata, ma lui lo vede Rose che sorride. E sorriderà per sempre perchè è nel suo mondo, col suo cappello e i suoi speroni, la sua polvere, le sue rughe.
Nella sua eternità. Per sempre.

UNA STORIA D'AMORE

GIOVANNI – GIOVANNACCIO – G.
Visto e rivisitato da un’esperienza vissuta Una ballade spontanea*


* da “romanza”. Quindi intendo dire (non so se a ragion veduta) una storia molto romanzata. Mi diverte la cosa e mi incuriosirebbe vedere la tua espressione mentre le leggi….


Alzarsi, lavarsi, vestirsi, andare al lavoro. Come tutti i giorni. Da anni.
Ma quel giorno tutto sembrava diverso.
Il letto aveva una coperta mai vista prima e la luce dalla finestra dava alla stanza un aspetto poco familiare.
E così per i vestiti. Erano più belli e più brutti. Senza parlare della macchina, della strada e dell’entrata dell’ufficio.
E la sua segretaria? Ma come era pettinata? Ma che colore di capelli aveva?

Da quel giorno tutto aveva assunto un aspetto differente.
E lui sembrava un pugile suonato. I suoni arrivavano come ovattati e il mondo gli girava intorno vestito da “SononuovoNonmiconosci”.

Ma cosa era successo?
Niente. Lui era semplicemente caduto a piombo da un grattacielo. Ma dall’ultimissimo piano di quel grattacielo.
Illeso. Era rimasto illeso. Illeso e intento a guardare sua moglie.
Lei gli aveva detto che si era innamorata di un altro.
Pausa.
E subito….
Un chi???
……………
Un altro????
……………
Ma cosa significa un altro?
Ci sono solo io. Anzi ci siamo solo tu ed io.
Ci siamo noi due e basta.
Un altro non esiste.

Pausa e camminata nervosa avanti e indietro. I capelli e la barba crescono a dismisura.

Ma dove è?
………………..
E chi è?
……………….
Chi?
…………………..
Quello lì?
……………….
Scusa…. Ripeti… Chi? QUELLO LI’??????
Silenzio.
Silenzio.
Silenzio.
Mutismo.
Lei piangeva e spiegava che qui e che là e che su e che giù.
Lui la guardava.
Muto. Un mutismo anche gentile. Attonito.
La ascoltava?
Non credo.

Forse rispondeva a volte. Ma erano parole che uscivano da una mente muta. Vuota di pensieri.

E fu così che Giovanni diventò Giovannaccio.
L’ictus bomba aveva danneggiato e modificato irreparabilmente una parte del suo cervello.

Era accaduto qualcosa che non
 faceva parte dei suoi ingranaggi. Oggi si direbbe che nel suo software proprio gli mancava un file. Quel file lì.

Ma ormai era accaduto. E l’orologio della vita stava andando avanti.
Già. Bisognava riattivare le azioni già previste.
E quindi ri-pronti e ri-via.

Va bene. “Vado”. E imperterrito aveva riattivato il gioco a lui noto della vita.
Inizialmente si muoveva con uno sguardo come un po’ allucinato.
Uno sguardo allucinato che però…
Però…
Però, però…
Che però era accompagnato sempre più spesso da grasse e lunghe risate.
La sua ironia era cronica. Anche la bomba atomica la aveva lasciata incolume.

Sembrava un matto.
Che lo fosse diventato davvero?

Eh sì… Altro che impazzito.

Il signor “Lavitaèfattacosì” invece aveva iniziato a togliersi le bende che aveva sugli occhi. E ad abbandonare quell’automatismo che lo aveva accompagnato felicemente nella vita.

Ci vollero soltanto pochi mesi e dopo un’ultima, bella e vigorosa manata sui vestiti, si era scrollato di dosso i minuscoli rimasugli di polvere. Era una polvere d’oro, preziosa e di alta qualità, ma dopo il “fattaccio” si era spenta ed era diventata grigia. Inutile.
Sì, sì. Da rimuovere.

Fu così che l’ex signor Giovanni iniziò la sua seconda vita. Diventò un Giovannaccio e molto in fretta gli sparì quello strano sguardo fisso.
Soprattutto smise di stupire tutti con quegli scoppi di ilarità smargiassa.

Ora il mondo aveva una colorazione diversa.
Era più luminoso.
Come prima e più di prima (ti amerò” non c’entra – Questo è “panso”?) assaporava in maniera diversa colori, gusti, luci e sapori.
Senza rinnegare nulla del passato, si inseriva con gioia nel presente a venire.

Lo si può immaginare, con un tocco di regia alla Walt Disney, muoversi con farfalline colorate e stelline luminose che volavano intorno a lui e che lo seguivano ovunque.

Si può dire che nessuno se ne accorse più di tanto. Tranne forse la sua segretaria, alla quale improvvisamente  aveva dato un bel pizzicottone sul sedere con tanto di occhiolino ammiccante.

“Ma avvoc…..”. Poi però non aggiunse altro.
Anzi, iniziò di nascosto a ridacchiare.
Lui la stupiva spesso. Era un uomo molto originale e quindi era abituata alle sue stravaganze.
Ma questa della seduzione era cosa nuova.
L’avvocato guardava anche le altre donne…..
Evviva.
Chissà cosa combinerà.
“Ciack si gira”: nuovo cinema.

E ora si arriva al punto.
Dietro a tutta questa descrizione comportamentale, che era l’atteggiamento poco rigoroso sopra citato, c’era la parte più significativa della questione.
C’era IL NOCCIOLONE DELLA QUESTIONE. IL NOCCIOLONE “MOVENTENTE”.

E questa è la base di tutto il resto a venire (il nocciolone).

Siccome gli era successa una cosa impensabile…………..

questo significava che………

TUTTO, MA PROPRIO T U T T O

poteva succedere.
(Dal punto di vista sentimentale però, perbacco! Che non si scherzi su altro!).

Basta. Potrei finire qui il racconto.
Tutto il resto è facilmente intuibile.
Per carità, lui si comportò a suo modo, nel SUO modo, che sicuramente nessun altro al mondo ha.
E che era sicuramente unico e originale.
Però assolutamente e inderogabilmente molto prevedibile nella sostanza.

E arrivarono Terese, Ginette, Vamposucce, Campanilone e MoltoperBene. Ma soprattutto fiori! Fiori di tutti i generi. Dalle Viole alle Margherite. Alle Petunie (anche una Vetulia), alle Ginestre. E poi Carle, Giovanne, Loredane. E si potevano tradire, si poteva sedurre la loro cara amica di sempre, insomma si poteva fare lo “stronzetto”.
Tutte con una storia. Ma tutte inutili donne da amare. E per poco. Donne su cui gettare le proprie forti e intensissime passioni.
Ma che profumavano di poca sostanza.
Donne da desiderare moltissimo e sinceramente, per poi diventare semplicemente un corpo berciante.
Da scacciare perché fastidioso.
E fu così e ancora così e di continuo così.
Finchè… non lo so.

Ora non conosco più niente di lui.
Un dato di fatto è che gli anni sono passati.
I giochini sono stati utilizzati.
Con soddisfazioni e disfatte.
Dove a volte lui ha vinto e a volte perso. (Ma con rivincita: che non sia mai!).
Saranno bastati?

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Tra le Giovenche, le Capre e le Zoccolette, Mr. Giovanni, in arte Giovannaccio, aveva anche incontrato una Anna.
Lei lo aveva vissuto come G. Ma proprio Gipunto.
Tutto nuovo.
Niente Giovanni, né tantomeno Giovannaccio. Anche se lui aveva fatto il Giovannaccio anche con lei.
Probabilmente come tante era caduta nella trappola (sincera per carità) del Tiamoseiladonnadellamiavita, che durava un decimo di secondo.
Però lei si era innamorata di lui.
E lo aveva vissuto come G. ed era stata bene. L’aveva fatta divertire e aveva riconosciuto in lui la persona che atavicamente, fisiologicamente si vedeva bene accanto.
Quei tratti del viso, quel sorriso, quell’ironia, quel suo modo di ragionare erano già da tanti anni nel suo album immaginario.
Già da bambina.

E’ per questo che in tanti anni di cazzate immonde, lei non lo ha mai dimenticato. E gli vuole bene.
Nonostante tutto.

E lo cerca. Perché a volte ne sente la nostalgia. Di cosa poi non si sa. Alla fine dei conti, fra una storia e un’altra erano stati insieme proprio poco poco.

Però è così.
E quello che dico è vero.
E chissà se lui lo sa.
Mah…..

Non ci sono avances, illusioni, delusioni, desideri.
Ci sono forse un po’ di aspettative.

Ma diamine.
Questo è normale.
Lui fa parte dell’album….

lunedì 21 febbraio 2011

E RESPIRARE (parte II)


Non era vero che era felice.
In realtà aveva la morte nel cuore.
Ed era perchè lei nonostante la sua leggiadria si ritrovava sempre allo stesso punto.
La sua vita era fatta di interminabili cerchi.
Ogni volta che iniziava a camminare immancabilmente succedevano le stesse cose.
Dopo un inizio travolgente, pian pianino si ritrovava ad aver a che fare con il suo già vissuto.
Ommamma, non sarà la stessa pianta dell'altra volta??
Ommioddio nooooo. Lo stesso palazzo.
E da lì il terrore. Il terrore di chi sa che sta per arrivare di nuovo.
Abbassa la testa. Chiude gli occhi e non lo vuole vedere.
Ma lui è lì.
Davanti a lei.
Il solito muro...
Già, già! Maledetto. Tutto finiva sempre lì.
Davanti a quel muro.
E disperatamente quel muro ogni volta diventava sempre più brutto.
Si sgretolava pian, pianino. Con qualche scritta malefica in più. Qualche ti amo in più. Con un po' più di scrostamenti, man a mano sempre più vistosi.
E lei di fronte a lui.
Che lo guardava e gli diceva... Vatteneaffanculo! Io riparto.
Ma quella volta era stanca. Disillusa.
Va bene andarsene. E vedere prati verdi, città bellissime, ascoltare persone sapienti. Arricchirsi. Ma per cosa?
Per ritrovarsi davanti a quel maledetto muro?
Le sembrava di essere in uno di quei giochi rompicapo dove si deve scoprire la via di uscita e ci si deve ingegnare per trovarla.
Niente scoraggiamenti però. La spinta verso la ricerca era stata ed era sempre forte.
Ma ora era stanca.
Stanca di quel muro. Ma chi glielo aveva costruito?
Lei stessa?
Che dovesse prendere una piccozza e abbatterlo?
Che dovesse prendere una scala e superarlo?
O continuare a voltargli le spalle e intraprendere una strada nuova?
Aveva sempre fatto così.
Alla ricerca di una viuzzina bella e tranquilla. Che la portasse in quel posto bello.
Quello pieno di sole e di farfalline. Con le altalene e i bimbi che giocano.
Dove suona una campana che richiama a mangiare tutti su quel bel tavolone di legno.
Colmo di ogni bene.
Dove un gruppo di ragazzi se ne sta tranquillo su un prato ad ascoltare una chitarra suonare.
Dove distendersi e chiudere gli occhi.
E respirare....

mercoledì 16 febbraio 2011

BENVENUTO CARO 2011!



 Aumma, aumma.
Una parola che rimbomba nella testa finché non ti addormenti.
Può capitare, dopo aver visto lo spettacolo proprio dal nome "Aumma" della compagnia Facchetti / De Pascalis al Teatro Leonardo da Vinci a Milano dal 15 al 27 febbraio.
In scena la festa di compleanno dell'Italia. L'anno dei suoi primi 150 anni!
Ma è davvero questo Aumma l’asserzione che più la rappresenta?
La regia di Gianfelice Facchetti è fresca, vivace, giovane, nuova. Genialmente ironica.
In un dialogo ferrato e semplice gli attori si muovono intorno al pubblico e dentro la casa di Mamma Italia: il palco.
Interpretata da Fortunata Mastrangelo, Mamma Italia assume un aspetto irreale.
Sembra appartenere a un personaggio dei cartoni animati.
Lei è una signora di una settantina d’anni, con un’espressività facciale degna del rimpianto Fellini. Il messaggio è chiaro. L’Italia è una marionetta che prende vita solo se stimolata dai suoi figli e figliastri.
Ma questi sembra non facciano altro se non pretendere, se non "mangiare" qualcosa.
Ed eccoli: un prete, un marinaio, una donna e un impiegato delle Poste.
La festeggiata parla poco e solo su richiesta. “Mamma, raccontaci le storie che ci dicevi quando volevi farci addormentare, quando volevi farci mangiare….”.
Ma la sua memoria fa cilecca. Protagonisti sono il G8, il caso Moro, piazza Fontana, la Guerra Civile, il Duce, Caporetto. Forti i richiami, che però spariscono nel momento in cui vengono menzionati. Rimossi.
“Non ricordo…”. Mamma Italia si risveglia veramente (e si dispera) soltanto alla vista delle ceneri di Peppino. Apprende per la prima volta che è morto Giuseppe Garibaldi, il suo unico grande e vero amore. Lei non lo sapeva.
E mentre una band la immortala musicalmente nel suo immenso sconforto, i suoi figlioletti ne approfittano per mangiare e mangiare. Aumma, aumma.
E regalare. Aumma, aumma. Facchetti enfatizza: “Io regalo, tu regali, egli regala. Un presente “indicativo” di un’identità, quella italiana, che ruota sempre e solo intorno al reciproco scambio di favori, merci e poteri, affinchè niente cambi”.
Le ultime battute sono frenetiche, nervose. Si muovono sul proscenio-casa-di-Italia ormai pieno di avanzi di cibo e di regali scartati e abbandonati.
Pieno di promesse inutili. E dove una goccia, che fa da protagonista sin dall’inizio dello spettacolo, diventa uno scroscio, un diluvio.
Cosa faccia “acqua da tutte le parti” è palese. Le ultime immagini sono di un’Italia maltrattata, che cerca l’amore e trova soltanto il malaffare. Aumma.
Un finale struggente: Italia giace in terra cosparsa dalle ceneri di Garibaldi.
Ed ecco la vera tragedia: la dolce procreatrice viene rimessa in sesto.
Viene ripulita alla bell’e meglio e posta a sedere nel centro di quel che rimane della sua casa. Appare come un fantoccio.
Senza vita.
In attesa di un Salvatore.
Benvenuto caro 2011!
Anna Scolari